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09/09/2011  - INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE ETTORE ANGIONI AL CONVEGNO SU “MALTRATTAMENTI E STALKING”, TENUTOSI ALL’HOTEL MEDITERRANEO DI CAGLIARI il 9 SETTEMBRE 2011

Se del delicatissimo tema dei maltrattamenti intrafamiliari, di cui sono normalmente vittime i c. d. “soggetti deboli” dell’ordinamento, e cioè i minori e le donne, si parla da tempo in convegni, incontri di studio e tavole rotonde, solo di recente in Italia si è cominciato a dibattere su un fenomeno in continua espansione, quello delle molestie assillanti che, con termine mutuato dal linguaggio venatorio, gli inglesi chiamano “stalking”.

L’Osservatorio della Direzione Centrale della Polizia Criminale parla di circa cinquemila persone denunciate nell’ultimo anno in Italia … nel Circondario del Tribunale di Cagliari abbiamo avuto 126 denunce nel 2010 e 102 denunce nei primi otto mesi del corrente anno.

In proposito è interessante ripercorrere brevemente l’iter legislativo in Italia in questo settore, a lungo trascurato, non solo nel nostro Paese, ma addirittura in campo mondiale.

Ed invero perfino il fenomeno dei maltrattamenti … fisici e psichici … in danno dei minori, antico, purtroppo quanto il mondo, e che oggi interessa, non solo i paesi sottosviluppati, ma purtroppo anche quelli che si sogliono definire “civili”, è stato seriamente affrontato per la prima volta in termini operativi soltanto all’inizio degli anni sessanta, grazie all’impegno del pediatra Americano Henry KEMPE, il quale aveva coniato la classica espressione del “battered child sindrome” o “sindrome del bambino picchiato”.

Quasi contemporaneamente nella letteratura medica americana compariva l’espressione “child abuse”, usata come sinonimo, ma in realtà di per sé idonea a descrivere qualsiasi azione di maltrattamento, ivi comprendendo, non solo gli abusi fisici, ma anche ed ancor più quelli che i medici e gli psicologici chiamano “Emotional abuses” o “ Abusi psicologici”, e cioè tutte le manifestazioni di grave trascuratezza, morale e materiale, che poi si ripercuotono sulla psiche del minore.

Perché ci si possa calare appieno in una tanto triste realtà mi pare utile richiamare due significative situazioni, verificatesi in luoghi ed ambienti culturalmente assai distanti fra loro, la prima nel nostro Paese e, addirittura in quest’Isola, e l’altra nel lontano Oriente.

Nel 1975 apparve nelle librerie italiane un’opera autobiografica dal titolo “Padre padrone”, nella quale lo scrittore sardo Gavino LEDDA raccontava della sua infanzia trascorsa, isolato, in montagna a controllare le greggi, nel continuo terrore delle cinghiate del padre.

Vent’anni dopo la stampa ci diede invece notizia dell’uccisione, il 16 Aprile del 1995, da parte di un killer della mafia locale dei tessitori di tappeti, del dodicenne pakistano Iqbal MASIH, colpevole di essersi ribellato per la condizione di semischiavitù in cui, assieme a numerosi altri bambini, era costretto a consumare le sue giornate.

Se a questi aggiungiamo i casi, sempre più frequenti, di bimbi lasciati letteralmente morire di inedia o ricoverati in coma in seguito alle percosse loro inferte dai genitori, magari infastiditi nel sentirli piangere, il quadro diviene ancor più completo, ricordandoci che la violenza, sia intra che extrafamiliare, può manifestarsi in una infinità di modi, passando dalle percosse agli abusi psicologici, per giungere poi ai più drammatici casi di “Sexual abuse” o “Abusi sessuali”, fra i quali rientrano la pedofilia, lo stupro, l’incesto e lo sfruttamento per finalità pornografiche e di prostituzione.

Purtroppo la riflessione del Giurista in questo settore è apparsa fin dall’inizio più arretrata rispetto a quella delle altre scienze sociali, dalla medicina alla psicologia, ma è doveroso dare atto di una delle più recenti ed encomiabili iniziative dell’Ufficio Studi del Ministero dell’Interno, volta a promuovere in questo campo degli incontri interdisciplinari, nei quali le voci dei Giuristi possano affiancarsi a quelle dei Medici Legali, degli Psicologi, degli Psichiatri e degli Operatori dei Servizi Sociali.

Nel nostro Paese il Legislatore ha provveduto, in tempi abbastanza recenti, ad affrontare dapprima il tema più ampio dei maltrattamenti intrafamiliari, che riguardano, oltre che i minori, anche quell’altra fascia di soggetti deboli dell’ordinamento costituita dalle donne e, quindi, da ultimo – lo ripeto – il problema, a lungo sottovalutato, dello “stalking”, che interessa anch’esso in maniera preponderante, per oltre il 90%, le donne.

Sulla spinta di tutta una serie di gravissimi episodi di cronaca, sempre più frequenti negli ultimi tempi, sul finire degli anni novanta dello scorso secolo sono state varate due leggi che, innovando profondamente la materia dei delitti contro la morale e la libertà sessuale, prestano poi una particolare attenzione nel disciplinare i casi di violenza sui minori, anche nell’ambito familiare … leggi, seguite poi alcuni anni dopo da una terza legge – sulla quale mi soffermerò più in particolare fra breve – che tratta specificamente della violenza in ambito familiare.

La prima di queste tre leggi, la n° 66 del 15 Febbraio 1996, frutto di una lunga elaborazione, ma purtroppo di affrettata approvazione, fornisce una nuova e più incisiva tutela contro i reati a sfondo sessuale, focalizzando poi più specificamente l’attenzione sulle problematiche inerenti ai minori che di essi rimangano vittime e caratterizzandosi per aver collocato le norme sulla violenza sessuale nel titolo del Codice penale dedicato ai “Delitti contro la persona” e, più in particolare, fra quelli contro la libertà personale; e ciò con una significativa innovazione rispetto alla normativa previgente che, inserendo le norme sulla violenza sessuale fra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, tendeva a sottolineare come i fatti presi in considerazione fossero da punire, non già perché offendevano la libertà sessuale delle persone, ma perché impedivano la corretta formazione della pubblica morale.

Al fine di contrastare in maniera ancor più efficace lo sfruttamento sessuale dei minori il Legislatore è quindi intervenuto con la L. 3 Agosto 1998 n° 269, aggiornata e integrata con la Legge n° 38/2006, le cui linee programmatiche prevedono:
A) sul piano sostanziale l’introduzione di una pluralità di figure di reato, volte a perseguire specifiche condotte di sfruttamento dei minori a fini sessuali;
B) e sul piano processuale l’inserimento di tutta una serie di norme, atte a rendere più efficace la repressione di detti reati, con la possibilità in taluni casi di perseguire financo dei fatti commessi all’estero dal cittadino italiano.

L’ultima in ordine di tempo é la L. 4 Aprile 2001 n° 154, che ha introdotto una serie di “misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, dirette a far sentire in modo forte la protezione dello Stato nei confronti delle vittime, prevalentemente donne e bambini.

Fra queste misure, che in taluni casi possono essere adottate anche dal giudice civile, assai significative sono quelle:
° della prescrizione rivolta all’indiziato di lasciare immediatamente la casa familiare ovvero di non farvi rientro (nel caso, ad esempio, in cui l’indagato si trovi in luogo, anche di detenzione, diverso dal domicilio domestico);
° della prescrizione di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede, nel caso in cui il rientro temporaneo dovesse rendersi necessario per recuperare effetti personali.

Accanto a queste misure principali, il Legislatore ha previsto una prescrizione accessoria per il caso in cui sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, e cioè l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati attualmente frequentati dalla persona offesa, e cioè al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia di origine e così via … Una prescrizione, questa, molto opportunamente riproposta anche per i casi di stalking dall’art. 9 della Legge n. 38 del 2009.

Tutto ciò, con un significativo mutamento rispetto al passato, giacché, alla luce della normativa previgente, erano le persone maltrattate (in genere mogli e figli minori) ad essere costrette ad abbandonare il domicilio familiare, il che provocava, specie nei bambini, che si vedevano improvvisamente staccati dall’ambiente in cui avevano sempre vissuto, un trauma di non poco conto.

La legge trae i suoi principi ispiratori dalla Convenzione dei diritti sul fanciullo, sottoscritta a New York il 20 Novembre 1989 e ratificata nel nostro Paese con la L. 27 Maggio 1991 n° 176, in virtù della quale tutti gli Stati aderenti alla Convenzione si impegnano ad adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo, tra l’altro, da casi di maltrattamento o sfruttamento, “compresa la violenza sessuale”.

Da questo breve excursus appar chiaro come il Legislatore non sia rimasto inerte dinanzi a fenomeni tanto gravi quali quelli della violenza e dei maltrattamenti intrafamiliari, offrendo una tutela, che a noi pare particolarmente ampia, alle vittime degli abusi, siano esse donne o minori.

I criminologi parlavano però da tempo di un altro fenomeno, non meno grave di quelli appena richiamati: un fenomeno che, come abbiamo anticipato all’inizio, è stato ridefinito con il termine “stalking”, preso in prestito dal mondo dei cacciatori, laddove il verbo “to stalk” in inglese sta per “fare la posta”, per il quale poi in Italia gli studiosi GALEAZZI e TURCI, del Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena hanno coniato invece il termine di “molestatore assillante”.

Nel nostro Paese fino a poco tempo fa non esisteva una normativa specifica per lo “stalking”, per cui tutti i comportamenti invasivi di quel tipo rientravano nella fattispecie penale della molestia e del disturbo alla quiete del privato, di cui all’art. 660 C.p, punibile con pene irrisorie … arresto fino a sei mesi e ammenda fino a € 516,00”.

Si trattava di una semplice ipotesi contravvenzionale, che ovviamente neppure consentiva l’arresto in flagranza, mentre solo nei più gravi casi di molestie a sfondo sessuale si sarebbe potuto, al più, con un grande sforzo di fantasia, ipotizzare il nuovo reato di pornografia virtuale.

Alla luce delle ricerche più recenti, sviluppate in prevalenza nel mondo scientifico anglossassone, è stato possibile sintetizzare una tipologia dei persecutori, facendovi ad esempio rientrare:
a) i soggetti che non riescono ad accettare l’abbandono del partner e attuano una vera e propria persecuzione nel tentativo maldestro di ristabilire il rapporto;
b) i soggetti che sfogano attraverso lo “stalking” un rancore dovuto alle cause più varie, quali l’astio o l’invidia per un collega di lavoro;
c) i molestatori sessuali abituali, che effettuano una serie di tentativi di approccio, incuranti dei segnali di fastidio da parte della vittima;
d) i maniaci di internet, che attuano minacce, molestie e vere e proprie persecuzioni attraverso i servizi classici della rete, e cioè e-mail e chat ovvero gli SMS.

In proposito ritengo utile citare due casi specifici, con minorenni come vittime, nei quali mi è accaduto di imbattermi prima dell’entrata in vigore della nuova legge e che ben potevano farsi rientrare nell’ambito dello “stalking”.

L’uno riguardava una ragazza di appena 15 anni, che per giorni e giorni era stata letteralmente tempestata ad opera di un adulto, a lei, fra l’altro legato da vincoli di parentela, di lettere, telefonate e messaggi inviati a mezzo cellulare contenenti proposte oscene, attinenti in modo esplicito alla sfera sessuale.

L’altro concerneva invece un ragazzo, di appena sedici anni, al quale da parte forse di qualche coetaneo, era stata a sua insaputa scattata con un cellulare una foto, che poi, abilmente manipolata al computer così da ritrarlo in una posa particolarmente sconveniente, era stata rispedita al suo stesso telefonino e fatta poi circolare per giorni e giorni fra numerosi altri giovani.

Ebbene, sia nell’uno che nell’altro caso era stato ingenerato nelle due vittime un persistente stato di insicurezza, fatto di paure e di veri e propri incubi, che andavano ben al di là dalla semplice molestia che fino ad allora veniva punita con la pena pressoché insignificante che vi ho richiamato.

In una situazione di tal fatta diveniva così sempre più pressante uno specifico e più incisivo intervento a tutela delle vittime di questa nuova forma di violenza, ancor più subdola e devastante di quelle precedentemente esaminate.

Tenendo conto del fatto che in questo settore esistevano casi come quelli appena descritti, in cui lo scopo del persecutore era quello di spaventare, aggredire, distruggere una persona per i motivi più svariati, facendola precipitare nel terrore, era inevitabile che si dovesse introdurre una nuova figura delittuosa, che punisse in maniera più adeguata il molestatore, consentendo nei casi più gravi di procedere al suo arresto in flagranza.

Di questo problema si discusse a fondo anche a Cagliari, tant’è che nel Marzo del 2006, nel corso di una interessante giornata di studi promossa proprio dalla Associazione “Progetto Donna Ceteris”, fummo proprio noi … come ben ricorderà la Signora MANISCALCO CICU, organizzatrice di quell’incontro … a far da apripista per l’iniziatica che avrebbe poi portato alla nascita del nuovo reato di cui all’art. 612 bis C.p. … un reato, opportunamente inserito fra quelli contro la persona, che ha avuto una lunga e sofferta gestazione … un reato – come ben sapete – incluso nel secondo capo … articoli da 7 a 12 … della legge n. 38 del 23 Aprile 2009, che riproduce integralmente i provvedimenti contenuti nel disegno di legge a firma del qui presente Ministro per le Pari Opportunità Mara CARFAGNA e dell’ex Ministro della Giustizia Angiolino ALFANO.

Disegno di legge e legge, questi appena richiamati, preceduti da alcune altre interessanti proposte di legge, fra cui la proposta COSSA, presentata alla Camera l’8 Aprile 2004, con il n. 4891, che prevedeva, sul modello californiano, il progressivo aggravarsi del reato a seguito di violazioni di diffide o di reiterazioni ulteriori delle condotte persecutorie e da altri disegni di legge, fra cui quello presentato alla fine del 2006 (atto Camera 2169) dal Consiglio dei Ministri, dal titolo “Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell’ambito della famiglia, per l’orientamento sessuale, l’identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione”.

La dottrina, la giurisprudenza ed il diritto comparato han contribuito in maniera sensibile a chiarir meglio il concetto di questa nuova fattispecie delittuosa.

Assai significativo anzitutto è l’esempio che ci veniva dai Paesi di common law, che da più tempo erano intervenuti legislativamente sul problema, con un approccio che, pur tenendo conto delle differenze fra un ordinamento e l’altro, può sintetizzarsi nel modo seguente:
a) la norma penale dà una definizione – in quei Paesi, secondo le loro tradizioni di legal drafting, spesso molto dettagliata – dello “stalking” di “primo livello”, cui sono connesse pene non troppo elevate;
b) allo scattare della fattispecie (o di un fumus della realizzazione della stessa), la vittima può richiedere all’autorità di emanare un restaining order (o injunction), con cui si diffida lo stalker dal proseguire nelle molestie persecutorie; se questi viola il restaining order, scatta un’aggravante del reato e qui le sanzioni si fanno decisamente più pesanti;
c) spesso le misure penali sono affiancate da misure interdittive o civili o da trattamenti medico – psicologici.

Da noi è stato recepito, almeno in parte, il principio secondo cui non si può affrontare il complesso fenomeno dello stalking semplicemente aggiungendo una pur indispensabile norma al codice penale, nel senso che è indispensabile un approccio multidisciplinare (misure penali, civili, mediche etc.) graduale (distinguendo fra loro più livelli progressivi di gravità) e il più possibile orientato alla prevenzione (utilizzo di diffide, injunctions etc.).

Il che significa che per contrastare lo stalking si ritiene necessario far ricorso ai cosiddetti microsistemi di tutela integrata (come del resto recita lo stesso titolo della brochure di presentazione del Convegno), ovvero a una normativa che con disposizioni di vario genere colpisca il fenomeno sotto diverse angolazioni e non limitandosi all’approccio endo penalistico.

Particolarmente utili apparivano ed appaiono in proposito le considerazioni di Alberto CADOPPI, ordinario di diritto penale all’Università di Parma, il quale, in un commento apparso sul numero di “Guida al Diritto” del 17 Febbraio 2007, il quale chiariva anzitutto come lo “stalker”, al pari del cacciatore che, a caccia di una preda, si apposta e/o la segue ossessivamente, dovesse identificarsi col molestatore che, nelle relazioni umane, non si comporta in modo diverso, con un copione che è sempre il medesimo: il fan o l’ex fidanzato cominciano a perseguitare quello che per loro è un oggetto ossessivo di desiderio; lo seguono, si insinuano ripetutamente nella sua vita privata con telefonate o altri mezzi (sms – e-mail etc.), fino talora a minacciarlo o a violarne il domicilio. A volte si realizza una vera e propria escalation persecutoria e lo stalker può diventare violento e pericoloso per la sua vittima, come dimostrano diversi fatti di cronaca sfociati nel brutale omicidio della vittima stessa.

Lo studioso svolgeva poi le seguenti, ulteriori, considerazioni:
a) lo stalker è persona che spesso non intende sin dall’inizio far del male alla propria vittima: una diffida o un’ammonizione seria da parte di una qualche “autorità” o simili potrebbe talora esser sufficiente a fermare la condotta persecutoria;
b) lo stalking si manifesta spesso in un crescendo, partendo da episodi innocui per sfociare nella violenza, fino, seppur non frequentemente, all’esito drammatico; occorre dunque contrastare lo stalker “per gradi”, cercando di prevenire piuttosto che reprimere, di volta in volta rincarando la dose della minaccia sanzionatoria, a seguito delle violazioni di diffide;
c) lo stalker – e questo è forse l’unico aspetto trascurato dalla legge in esame – è spesso un soggetto affetto da problemi psicologico/relazionali o talora da veri e propri disturbi psichiatrici; dunque, la sola minaccia di sanzioni penali può mostrarsi inefficace, se non accompagnata da trattamenti medico-psicologici.

E ciò ancora una volta per far comprendere che solo un approccio multidisciplinare – come accennato in apertura del discorso – può assicurare un’efficace azione di contrasto.

Ecco perché sarebbe auspicabile anzitutto che fin dall’inizio uno psicologo spiegasse alla vittima in qual modo difendersi dalla molestia, fermo restando che è sempre bene segnalare immediatamente agli Uffici della polizia, quella postale in particolare nel caso di ricezione di e-mail, di pagine web o di chat, qualsiasi tipo di comportamento persecutorio.

Non avrebbe poi dovuto essere trascurata la previsione, di cui alla proposta di legge COSSA (art. 3, comma V) della possibilità di ammettere i condannati per il reato di “stalking” “alla sostituzione della pena detentiva con trattamenti di recupero presso strutture di rieducazione specializzate”.

Consentitemi a questo punto di richiamare tre recentissime pronunce della Corte Suprema, la n. 25527 del 5 Luglio 2010 della Sezione V, la n. 32404 del 30 Agosto e la n. 34015 del 21 Settembre 2010, entrambe della Sezione VI, che rappresentano le prime decisioni edite di legittimità in tema di stalking, fissando i seguenti principi:
1) la fattispecie in oggetto, punibile con la reclusione da sei mesi a quattro anni, con la previsione di alcune aggravanti, presenta la struttura del reato abituale, che si realizza con la reiterazione della condotta di minaccia o di molestia, ovvero con una serie di comportamenti che, se considerati isolatamente possono anche essere leciti (come una telefonata o l’invio di un SMS) o anche già costituenti reato (un’ingiuria, una diffamazione, una minaccia di morte), che assumono però rilevanza penale ex art. 612 bis C.p. solo se ripetuti nel tempo.

In proposito è significativa la Sentenza n. 25527, secondo la quale “anche due soli episodi di minaccia o molestia possono valere ad integrare il reato in esame, se abbiano indotto un perdurante stato di ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta a modificare le proprie abitudini di vita …”; si trattava nella specie del caso di una donna, costretta dapprima a cambiare casa e addirittura poi perfino città per eludere la pressione indotta dal coniuge, che era riuscito a rintracciare la nuova abitazione, manifestandolo alla moglie separata con il macabro segno di un cappio appeso dietro la porta di casa!

Nella Sentenza n. 34015 lo stalker aveva avvicinato quasi quotidianamente una ragazzina di 12 anni alla fermata dell’autobus, nei pressi della sua abitazione, rivolgendole apprezzamenti, invitandola a salire sul suo veicolo e recandosi addirittura presso l’istituto scolastico frequentato dalla minore per rivolgerle sguardi intensi e minacciosi.

2) L’art. 612 bis C.p., come risulta dall’impiego della disgiuntiva “O”, indica quindi due modalità alternative di realizzazione della condotta di stalking, rappresentate dalla minaccia (per la cui nozione si rimanda alla giurisprudenza formatasi in relazione al reato di violenza privata ex art. 610 C.p.) o dalla molestia (per la cui nozione si rimanda invece alla giurisprudenza formatasi in relazione al reato di molestia alle persone di cui all’art. 660 C.p.), non potendosi peraltro escludere che in taluni casi sia dato riscontrare la realizzazione congiunta di tutti i fenomeni lesivi.

3) le reiterate minacce o molestie debbono essere state tali da determinare nella vittima un perdurante (che si protrae cioè nel tempo) e grave stato di ansia, definibile, quest’ultima, come il mutamento nella condizione di normale stabilità psicologica di un soggetto, con la sottolineatura secondo cui il concetto di gravità dell’ansia stessa è un fattore soggettivo che non potrà mai essere determinato a priori in termini assoluti, essendo necessariamente legato alle condizioni della vittima … Ad esempio lo stato d’ansia che si può ingenerare in un minore o in una persona in età avanzata è diverso rispetto a quello che può riguardare un soggetto nel pieno della maturità psicofisica!

Quanto al fondato timore per l’incolumità la giurisprudenza è concorde nell’affermare che la condotta minacciosa o molesta debba esser tale da incutere nella vittima la paura che possano derivare conseguenze ulteriori in grado di porre in pericolo la vita o l’integrità fisica propria, di un prossimo congiunto o di terzi soggetti legati dai legami affettivi … Pensate a chi si trovi costretto a mutare il percorso che conduce al posto di lavoro … a modificare le utenze telefoniche … a non uscire nelle ore serali … a farsi accompagnare sul luogo di lavoro da familiari o conoscenti etc.

4) Secondo la giurisprudenza maggioritaria e la più accreditata dottrina la norma in oggetto non parrebbe richiedere che la minaccia o la molestia cagionino in concreto gli eventi, ma soltanto una particolare idoneità a causare il particolare danno, per cui si avrebbe una ricostruzione dello stalking come delitto di pericolo.

Ulteriore e definitiva conseguenza di siffatta ricostruzione è l’anticipazione della soglia di rilevanza penale, che risponde appieno alla ratio dell’introduzione dell’art. 612 bis C.p., rappresentata dall’esigenza di incriminare in via preventiva comportamenti che possono essere prodromici rispetto alla realizzazione di eventi più gravi.

Il fatto che il reato sia perseguibile a querela e che il termine per proporla sia stato elevato a sei mesi può dar modo alla vittima (tramite il suo legale) di diffidare lo stalker a interrompere la sua attività persecutoria, prima di querelarlo, facendo eventualmente scattare una aggravante (v. comma 3 art. 8 della Legge).

Questo soggetto, non dimentichiamolo, è di solito “vittima” esso stesso, sotto il profilo psicologico, della persecuzione ossessiva che pone in essere nei confronti della vera vittima; se si vuole davvero prevenire l’escalation dello stalker spesso sarebbe infatti più importante “curarlo” che incarcerarlo.

In conclusione, le norme proposte dalla legge in esame rappresentano certamente un sensibile passo avanti nella lotta al fenomeno delle molestie persecutorie.

Si può però fare di più, tenendo conto degli studi dei criminologi sull’argomento – e in Italia non mancano prestigiosi gruppi di ricerca che si occupano del tema (per esempio il Modena group on Stalking) – e dei pareri dei giuristi; il tutto, senza trascurare il diritto penale comparato, nonché l’esperienza maturata in Paesi (come quelli di common law) che da decenni hanno attivato e sperimentato leggi in materia di stalking.

Manca infatti l’approccio medico psicologico, che, svincolando eventualmente l’evento dalla condanna, potrebbe avere la funzione di aiutare lo stalker a cessare le molestie.

Come si è appena accennato, essendo spesso lo stalker un soggetto affetto da problemi psicologico/relazionali e talora da veri e propri disturbi psichiatrici, sarebbe opportuno – e questo è forse l’unico aspetto trascurato dalla legge in esame – che la minaccia di sanzioni penali, che da sola potrebbe mostrarsi inefficace, fosse accompagnata da trattamenti medico-psicologici.

E ciò ancora una volta per far comprendere che solo un approccio multidisciplinare – come accennato in apertura del discorso – può assicurare un’efficace azione di contrasto.

In tale contesto – e concludo – non avrebbe forse dovuto essere trascurata la previsione, insita nella proposta di legge COSSA (art. 3, comma V), della possibilità di ammettere i condannati per il reato di “stalking” “alla sostituzione della pena detentiva con trattamenti di recupero presso strutture di rieducazione specializzate”.

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