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28/01/2017  - Inaugurazione dell'anno giudiziario 2017



Intervento
del Procuratore Generale
Roberto Saieva



nell’Assemblea generale della Corte
sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2016


Cagliari, 28 gennaio 2017
Signor Presidente, illustri rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’Onorevole Ministro della Giustizia, Autorità civili, militari e religiose, rappresentanti del libero Foro e degli organi di informazione, signore e signori

Mi sia consentito preliminarmente rivolgere un caloroso saluto ai Magistrati degli uffici giudiziari cagliaritani che nel periodo successivo alla precedente cerimonia inaugurale hanno lasciato il servizio, la dott.ssa Grazia Corradini, già Presidente della Corte, innanzitutto, con la quale ho avuto la fortuna di intrattenere un intenso ed assai proficuo rapporto di collaborazione, il dott. Mario Biddau, Presidente di sezione, la dott.ssa Fiorella Pilato, Consigliere, la dott.ssa Lucina Serra, Sostituto procuratore generale; a tutti loro va il mio, il nostro, sentito ringraziamento.

Andamento della giurisdizione penale ordinaria e della giurisdizione penale e civile minorile.

Con riguardo all’andamento della giurisdizione, nel periodo al quale è relativo il presente intervento, quello che va dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2016, è in primo luogo da sottolineare quanto già rilevato nella relazione del Presidente della Corte sui flussi dei procedimenti pendenti presso gli uffici requirenti: tutte le Procure del distretto hanno ridotto le pendenze rispetto al periodo precedente. La riduzione è stata maggiore nelle Procure di Nuoro, Oristano e Lanusei; ma il dato si presenta positivo anche presso le Procure di Cagliari, Tempio Pausania e Sassari.

La Procura della Repubblica di Cagliari – che, pur a fronte di un calo delle pendenze al 30 giugno 2016, rispetto al 30 giugno 2015, pari al 4,7%, ha registrato una diminuzione delle definizioni – ha messo in cantiere specifici programmi per l’abbattimento dell’arretrato, essendo peraltro quello dell’abbattimento dell’arretrato, nel senso della definizione delle indagini preliminari più annose, un obiettivo da questo Procuratore generale indicato nel decorso anno a tutti gli uffici requirenti del distretto, in esito ad una ricognizione globale delle pendenze.

Particolarmente intensa è stata anche l’attività delle due Procure presso i Tribunali per i minorenni di Cagliari e Sassari, soprattutto nel settore civile. Nel periodo di riferimento le iscrizioni degli affari civili hanno subito un incremento del 33% presso la Procura minorile di Cagliari e del 57% presso quella di Sassari. L’aumento è dovuto soprattutto alla crescita esponenziale degli ingressi di minori stranieri non accompagnati, prevedendo la legge la competenza degli uffici giudiziari minorili per la ratifica delle misure di accoglienza predisposte.
Effetti delle più recenti riforme nel settore penale.

Sull’andamento della giurisdizione non hanno peraltro inciso in modo veramente significativo le più recenti riforme nel settore penale: le leggi di abrogazione e depenalizzazione di reati, l’introduzione della speciale causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto e dell’istituto della messa alla prova.

Assai ridotto è stato l’impatto sul carico penale, anche perché non vi è stato esercizio pieno della delega che era stata conferita, del decreto legislativo n. 7 del 2016, recante disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili. Le abrogazioni più significative hanno riguardato, quanto ai reati di competenza del tribunale, la falsità in scrittura privata e, quanto ai reati di competenza del giudice di pace, il danneggiamento semplice e l’ingiuria: poca cosa, comunque. Dei reati depenalizzati, trasformati in illeciti amministrativi, in forza del decreto legislativo n. 8 del 2016, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali sanzionato ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, del D. L.vo non 463/1983 è quello veramente rilevante sul piano statistico; è sufficiente considerare, sul punto, che negli anni più recenti la mole di denunce di tali omissioni provenienti dall’INPS era stata così imponente da imporre agli uffici giudiziari particolari modalità organizzative ai fini della loro trattazione.

Quanto alla speciale causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, avuto riguardo ai ristretti limiti nei quali è confinata – definiti autorevolmente nelle due sentenze della Cassazione rese a sezioni unite il 25 febbraio 2016, la n. 13681 e la n.13682, con le quali si è tra l’altro affermato che il nuovo istituto deve rimanere sostanzialmente ancorato ad un principio di extrema ratio, con lo scopo primario di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complicati meccanismi del processo e che può dunque riguardare esclusivamente illeciti che presentino un ridottissimo grado di offensività –, non stupisce che i suoi effetti siano stati piuttosto contenuti; contenuti, ma non del tutto irrilevanti.

Se una quantità complessivamente modesta di casi di applicazione è stata segnalata nella fase del giudizio, di primo e secondo grado, taluni uffici requirenti hanno evidenziato dati numerici relativi alle richieste di archiviazione per la causa di cui si tratta che è possibile qualificare significativi, con le sole eccezioni delle Procure di Sassari e Lanusei. In particolare, di 151 richieste nel periodo in considerazione ha riferito il Procuratore di Oristano, di 207 quello di Nuoro, di 663 richieste il Procuratore della Repubblica reggente di Cagliari. Nessuno ha segnalato provvedimenti di rigetto delle richieste da parte dei giudici per le indagini preliminari e neppure opposizioni da parte delle persone sottoposte alle indagini e delle persone offese.

L’istituto della messa alla prova risulta avere avuto nei diversi circondari del distretto una incidenza disuguale (a titolo di esempio, il Procuratore di Oristano ha segnalato nel periodo di interesse 70 richieste presentate al giudice per le indagini preliminari, mentre il Procuratore di Cagliari ha riferito, con riguardo alla medesima fase delle indagini preliminari, di un numero totale di appena 7 richieste); si tratta comunque di un impatto complessivamente modesto.

Il fatto è che la messa alla prova (che dovrebbe essere ordinariamente riservata, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, c. p. p., a soggetti che presentano un curriculum penale poco nutrito) presuppone condotte riparatorie, comporta l'affidamento dell'imputato al servizio sociale ed è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità; e l’ordinamento penale consente all’autore del reato (incensurato, o con precedenti non rilevanti) di pervenire alla definizione del procedimento senza sottostare a tali onerose condizioni, appellandosi alla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, o accedendo a riti alternativi: all’applicazione della pena su richiesta, in primo luogo.

In ogni caso, l’effetto dell’alleggerimento del lavoro giudiziario, che era sicuramente tra gli scopi dell’istituto, non pare essersi realizzato: la procedura prevista per la sua applicazione richiede al giudice, in termini di tempo, un impegno non trascurabile e spesso, per le difficoltà di definizione ed attuazione del programma di trattamento, più gravoso di quello che potrebbe richiedere la definizione del procedimento, con rito alternativo o anche ordinario. Peraltro, neppure all’ulteriore, dichiarata finalità di riduzione del sovraffollamento carcerario l’istituto sembra aver corrisposto, dato che i reati per i quali è previsto non sono di particolare offensività, fattispecie per le quali ordinariamente non v’è luogo ad esecuzione di pene detentive. La significativa riduzione della popolazione carceraria c’è stata, ma principalmente quale conseguenza, come è noto, della sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014 della Corte Costituzionale, che ha determinato il ripristino della distinzione del trattamento sanzionatorio per i fatti relativi alle droghe c. d. leggere rispetto a quelli relativi alle droghe c. d. pesanti.

Tutto ciò, per tacere del carattere meramente utopico dell’ulteriore funzione che l’istituto dovrebbe avere, quella cioè educativa e sociale – attraverso l’assunzione di responsabilità da parte dell’imputato in ordine al reato commesso e l’esecuzione di condotte riparatorie – ove si consideri che l’effettività di tali condotte (diverse da quella del risarcimento patrimoniale cagionato alla persona offesa) dovrebbe essere verificata dagli uffici per la esecuzione penale esterna, che normalmente, per insufficienza di risorse, non sono in grado neppure di effettuare controlli efficaci sulla esecuzione delle misure alternative alla detenzione concesse ai condannati.

Va poi detto che fa da freno al ricorso ad istituti come quello della messa alla prova – istituti, come si suole definirli, deflattivi – la prospettiva, che in molti casi si presenta concreta, della estinzione del reato per prescrizione.

Già nell’intervento dello scorso anno avevo osservato che quello della prescrizione è obiettivo raggiungibile con eccessiva facilità; il termine di 6 anni, aumentabili al massimo di un quarto, decorrente dal fatto, che è previsto per il maggior numero di delitti – quello delle contravvenzioni è ancora più ridotto –, considerevole in astratto, è troppo breve in relazione alla complessità (meglio: alla macchinosità) dell’impianto delle indagini preliminari e del processo; e così, come risulta dai dati a disposizione, sul piano nazionale sono stati 132.739, nell’anno 2015, i procedimenti penali nei quali è stata dichiarata l’estinzione dei reati per prescrizione e 78.054 nel primo semestre dell’anno 2016.

Proprio in questi giorni è stata diffusa la notizia che il GR.E.CO., organo di controllo contro la corruzione del Consiglio d'Europa, ha inserito tra le raccomandazioni rivolte all’Italia la revisione delle sue attuali norme in materia di prescrizione, giudicate d’ostacolo ad una lotta efficace contro questo crimine.

E non solo sul regime della prescrizione è necessario intervenire. Avevo pure osservato nell’intervento dello scorso anno che la crisi del sistema penale è strutturale ed insensibile a correttivi circoscritti e richiede piuttosto una profonda semplificazione del procedimento che punti ad eliminare tutte le formalità alle quali non corrisponde una effettiva esigenza di tutela dei diritti di difesa, una radicale revisione del sistema delle impugnazioni, una riforma del sistema delle esecuzioni che ristabilisca il principio della certezza della pena e che in mancanza di radicali riforme legislative i limitati interventi diretti a ridurre l'enorme pendenza di procedimenti penali avrà soltanto l'effetto di peggiorare la qualità del lavoro dei magistrati, senza produrre quello di una significativa contrazione dell'arretrato.

Non si è verificato nell’anno trascorso alcun cambiamento di un qualche rilievo; immodificato lo strumentario a disposizione dei magistrati, c’è stato posto soltanto per l’esortazione, ossessivamente ripetuta, allo smaltimento degli affari, obiettivo perseguito ad ogni costo, anche a prezzo dello scadimento del livello qualitativo dei provvedimenti.

E’ un fatto che nei Consigli giudiziari, in quello di Cagliari come in qualsiasi altro, nella formulazione dei pareri ai fini delle valutazioni di professionalità si ha decisivo riguardo al numero dei provvedimenti resi ed ai tempi di deposito. Il resto conta poco. E’ noto che tanti dirigenti di uffici giudiziari, soprattutto giudicanti di primo grado, nelle più diverse realtà territoriali, dai magistrati pretendono innanzitutto numeri: la qualità dei provvedimenti emessi non sembra essere all’ordine del giorno.

Occorre riflettere: un sistema che premia soltanto la produttività, come se il lavoro giudiziario fosse assimilabile all’attività di un opificio industriale, valutabile in termini di confezionamento del maggior numero di manufatti al minor costo, rischia di innescare un perverso meccanismo, un rincorrersi lungo le colonne delle statistiche in cui il giudice scrupoloso, se non si adegua, rimane travolto. E ci si deve rendere conto che decisioni scarsamente ponderate ed ancor peggio motivate danno l’idea di una giustizia imprevedibile, aleatoria, caotica che incoraggia l’inosservanza delle leggi e stimola la litigiosità. Ecco come la corsa ai numeri paradossalmente può, anziché diminuirli, aumentarli!

Analisi delle linee di tendenza dei fenomeni criminali.

Quanto alle linee di tendenza dei fenomeni criminali nel distretto, è stato ancora una volta segnalato dal Procuratore della Repubblica di Cagliari, ma anche da quello di Sassari, il rilievo sempre maggiore che assumono nel territorio i reati concernenti gli stupefacenti, in particolare l’espansione del fenomeno della illecita coltivazione di marijuana.

Ha evidenziato il Procuratore di Cagliari, che la sproporzione tra la quantità del prodotto ricavato dalle piantagioni e le esigenze del mercato isolano, il rapido innalzamento dei valori di THC della cannabis localmente coltivata, che la allinea, per qualità, a quella proveniente dalle aree africane e asiatiche e ne eleva il prezzo sono circostanze che presuppongono l’esistenza di vere e proprie strutture commerciali che regolano produzione e distribuzione e inducono a valutare il fenomeno in termini di crimine organizzato. Ma non si può fare a meno di rilevare che, in conseguenza della già richiamata sentenza della Corte Costituzionale, quando le acquisizioni investigative non consentono la contestazione di una fattispecie associativa, le pene riservate agli illeciti coltivatori non costituiscono un deterrente idoneo a scoraggiare questo tipo di intraprese criminali.

Accanto al fenomeno delle grandi rapine, cioè di rapine consumate o tentate ai danni di banche, uffici postali e soprattutto di depositi e veicoli di portavalori, eseguite con audacia e notevole dispiegamento di uomini e mezzi, che persiste, nonostante i successi investigativi registrati, il Procuratore di Cagliari ha segnalato la forte espansione nell’Isola dello sfruttamento della prostituzione, che vede l’impiego, spesso in condizioni di riduzione in schiavitù, di donne nigeriane, albanesi, rumene e di altri paesi dell’est europeo, nonché, sempre più frequentemente, provenienti dalla Cina. Alcune indagini hanno peraltro evidenziato la realizzazione di condotte sussumibili nelle fattispecie della tratta di persone e dello sfruttamento della prostituzione che coinvolgono stranieri ospiti di centri di accoglienza.

In proposito va osservato che l’afflusso di migranti nel periodo in considerazione e nel secondo semestre dell’anno trascorso è stato massiccio (circa 10.000 migranti nel 2016); si tratta di un fenomeno sociale significativo, che merita di essere citato in questa sede per i suoi riflessi sulla giurisdizione penale; quanto a questi, ha segnalato il Procuratore di Cagliari la particolare difficoltà delle indagini condotte in occasione di ogni sbarco per la individuazione dei c. d. “scafisti”, anche per la necessità di acquisire in tempi brevi ed in forme processualmente utilizzabili, le dichiarazioni delle persone soccorse; ha riferito comunque che nel secondo semestre del 2015 sono stati iscritti 6 procedimenti a carico di noti per il reato di cui all’art. 12 del D. L.vo 286/1998 e 2 nel primo semestre del 2016.

Sempre per i riflessi sulla giurisdizione penale, va qui ricordato che il lodevole sforzo compiuto anche sull’Isola di coniugare la necessità della disciplina del fenomeno immigratorio con il dovere dell’accoglienza ha prodotto in qualche caso deprecabili atti delittuosi diretti a contrastare l’azione delle Istituzioni pubbliche che quell’obiettivo perseguono, come il grave attentato incendiario consumato lo scorso 10 ottobre ai danni della ex scuola della Polizia Penitenziaria di Monastir, destinata a centro di accoglienza per i migranti e il successivo atto intimidatorio – che non ha certamente conseguito l’effetto che gli autori si ripromettevano – compiuto l’11 novembre 2016 ai danni del Prefetto di Cagliari, che in quel progetto di riconversione si è fortemente impegnata.

Su tutt’altro versante va segnalato che diversi procedimenti sono in corso, in più di un ufficio, su fattispecie di reato connesse al fraudolento conseguimento di risorse pubbliche destinate a sostenere nell’Isola lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Rilevante è poi l’impegno che diversi uffici requirenti dell’Isola, in relazione alle situazioni che le varie realtà territoriali propongono, stanno dedicando alle indagini in materia ambientale, in particolare a quelle relative ai gravi fenomeni di inquinamento che sono stati causati da insediamenti produttivi – in molti casi non più attivi –, anche con riferimento alle contaminazioni da amianto.

Situazione degli Uffici giudiziari requirenti del Distretto.

Nel periodo considerato, quindi fino alla prima metà del 2016, la situazione degli uffici requirenti del Distretto, con riguardo alla copertura delle piante organiche dei magistrati, non ha presentato, nel suo complesso, aspetti di particolare criticità.

Il quadro, però, al momento presente è cambiato. Quanto agli uffici di primo grado, se è scoperto uno solo dei 19 posti di sostituto della Procura di Cagliari, si prospettano condizioni di estrema difficoltà per la Procura della Repubblica di Tempio Pausania, il cui organico, peraltro non adeguato alle esigenze del territorio, fa registrare una scopertura del 75%; e la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi; vi è la concreta prospettiva che, da qui a poco, quell’ufficio requirente rimanga del tutto privo di sostituti ed all’emergenza si dovrà fare fronte con le risorse presenti nel distretto, che non sono abbondanti. Ed infatti, appare pure difficile la situazione della Procura della Repubblica di Lanusei, che vede adesso una scopertura del 50% dell’organico dei sostituti e di quella di Nuoro, dove sono vacanti due posti di sostituto su sei (anzi, tre su sette, se si tiene conto del recentissimo ampliamento disposto). Del 22% è la scopertura dell’organico della Procura di Sassari e del 16% di quello della Procura di Oristano.

Con il conferimento di funzioni ai magistrati ordinari in tirocinio nominati con D.M. 18 gennaio 2016 dovrebbero essere coperte, ma soltanto in prossimità della fine dell’anno in corso, le attuali vacanze delle Procure di Lanusei e Oristano, ma non quella della Procura di Cagliari e non interamente quelle delle Procure di Sassari, Nuoro e Tempio Pausania.

Quanto alla Procura Generale, è vacante uno dei 3 posti di sostituto dell’ufficio di Sassari e uno dei 6 posti di sostituto dell’ufficio di Cagliari. Per quest’ultimo ufficio sarà dunque impegnativo mantenere le medie di produttività raggiunte nel recente periodo; il numero delle impugnazioni proposte – che per le Procure Generali rappresenta il dato statistico più significativo – evidenzia infatti nel periodo considerato, rispetto a quello precedente, un incremento del 130%.

E’ ancora vacante, infine, il posto di Procuratore della Repubblica di Cagliari, pubblicato con deliberazione del CSM del 2 luglio 2015.

Ancora più problematica, rispetto a quella degli organici giudiziari, rimane la situazione degli organici amministrativi. Come già rilevato dal Presidente della Corte, in ragione della elevata età media del personale, si susseguono a ritmo incalzante i collocamenti a riposo, soltanto in misura scarsamente significativa compensati dalle immissioni negli uffici – in quelli giudicanti, come in quelli requirenti – di personale proveniente, per effetto dell’attivazione di procedure di mobilità, da altri enti pubblici.

La soluzione del problema non potrà sicuramente essere rappresentata dalla copertura degli 800 posti di assistente giudiziario messi a concorso con il bando del 22 novembre 2016 (che dovrebbero essere aumentati di mille unità, stando alla comunicazione data dal Ministro della Giustizia ai componenti della giunta dell’A.N.M. nell’incontro dello scorso 24 gennaio); intanto l’espletamento del concorso sarà prevedibilmente assai laborioso, posto che sono state presentate oltre 300.000 domande; il numero totale delle unità di personale da assumere, poi, sembra rilevante in termini assoluti, ma non lo è in termini relativi, ove si consideri che dovrà essere ripartito tra molte centinaia di uffici giudiziari.

In questo quadro generale da oltre un anno si è riversato sugli uffici giudiziari, su quelli di appello soprattutto – ed in particolare sulle corti –, l’onere della gestione delle spese obbligatorie per i locali e, più in generale, per il funzionamento degli uffici, trasferite, come è noto, con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, dai Comuni al Ministero della Giustizia a partire dal 1° settembre 2015.

Il passaggio, è doveroso sottolinearlo, è stato attuato senza una adeguata preparazione e, soprattutto, non è stato seguito – a livello periferico, come a livello centrale – dall’apprestamento delle risorse materiali ed umane che sarebbero state necessarie per una sua corretta gestione.

Molte incombenze sono state delegate dall’Amministrazione centrale ai capi delle Corti di Appello, dunque ad uffici giudiziari che non sono dotati delle figure tecnico-professionali indispensabili allo svolgimento dei nuovi compiti. In ogni caso va rilevato che l’imputazione agli uffici giudiziari, con lo strumento della delega, di vaste competenze in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia appare contrario alla previsione contenuta nell’art. 110 della Costituzione che tali competenze attribuisce al Ministro della Giustizia, verso il quale, per effetto delle sopra richiamate deleghe di funzioni prettamente amministrative, gli organi giudiziari finiscono con l’assumere responsabilità non confacenti alla loro natura e scarsamente compatibili con il principio della divisione dei poteri affermato nella Carta fondamentale.

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Non posso fare a meno di sottolineare come quest’anno le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario siano caratterizzate dalle iniziative di protesta assunte dalla Associazione Nazionale Magistrati, che lamenta il mancato adempimento degli impegni politici assunti da parte del Governo nei confronti della stessa ANM.

E’ auspicabile che sia evitata ogni tentazione di scontro frontale tra le Istituzioni e che prevalga la volontà di avviare a soluzione i problemi prospettati, assumendo nelle materie oggetto di contrasto soluzioni, per quanto possibile, condivise, non nell’interesse di una parte o di una corporazione, ma nell’interesse generale.

Soprattutto è necessario, a mio avviso, nell’avanzare verso il Governo del Paese le giuste rivendicazioni nella materia dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e nella materia delle riforme che debbono investire il diritto sostanziale e processuale, non dimenticare che situazioni critiche sono evidenti anche all’interno dell’Ordine giudiziario e che il loro superamento dipende innanzitutto dai magistrati, da tutti i magistrati e, con grado maggiore di responsabilità, da quelli che costituiscono la componente togata, che è maggioritaria, del CSM, da quelli che compongono i Consigli giudiziari, dai titolari di funzioni direttive e semidirettive.

Anche su queste questioni mi ero intrattenuto nell’intervento del 30 gennaio 2016; questioni che rimangono aperte – in qualche caso dolorosamente aperte – ed alimentano un diffuso malessere all’interno dell’Ordine giudiziario e grave disorientamento tra i cittadini: questioni come quella delle valutazioni di professionalità dei magistrati, regolate da un meccanismo che in buona parte gira a vuoto, come quella delle selezioni per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, che sembrano procedere a volte per vie tanto lunghe, tortuose e oscure, da suggerire l’idea di un governo degli avanzamenti funzionali, piuttosto che discrezionale, bizzarro; questioni come quella dell’amministrazione della giustizia disciplinare e dell’assicurazione della indipendenza dei magistrati.

L’indipendenza dei magistrati – non è superfluo ricordarlo – è fatta di sostanza e di apparenza, costituisce il prerequisito dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, in tanto c’è in quanto il magistrato osservi, oltre che i doveri di diligenza e laboriosità, quelli fondamentali della imparzialità, della correttezza, del riserbo, dell’equilibrio, che impongono canoni di comportamento che non possono dipendere da valutazioni soggettive, perché quei doveri sono consacrati nelle leggi ed hanno un contenuto che, al di là di comodi sofismi, può essere inteso ed è inteso da chiunque: dai magistrati, come dai cittadini che li osservano e li giudicano.



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